Scritto da Avv. Carotti Italo

Omicidio volontario premeditato

E’ probabilmente considerato il reato per antonomasia, il reato tra i reati, il paradigma dei delitti: stiamo parlando dell’omicidio. Drammaticamente attuale, il reato di omicidio appartiene a quella categoria di reati definiti con brocardo latino mala in se, vale a dire mali naturali che preesistono alla norma giuridica che li rende illeciti. Tale categoria di reati comunemente si distingue dai c.d. mala quia prohibita che includono tutte quelle ipotesi di reato il cui disvalore è dato dal semplice (e solo) fatto di essere vietate dalla legge. E’ estremamente facile, in effetti, ricondurre l’omicidio (dal latino homo=uomo e cidium=tagliare, recidere, sopprimere) all’interno di quei reati considerati ad ogni latitudine ed in ogni epoca come immorali e contrari al diritto naturale.
La repulsione nei confronti della soppressione della vita è un sentimento diffuso in ogni cultura e, a ben vedere, riguarda esclusivamente il genere umano (difficilmente vedrete dei leoni nella savana isolare il capo branco perché ha tolto la vita ad un suo simile). L’omicidio è certamente una questione umana, il che potrebbe a prima vista apparire scontato, ma come ricordava spesso il mio Professore di Diritto Penale all’Università, sarebbe possibile incriminare qualcuno perché ha provocato la morte di un alieno ? E ancora, sarebbe un alieno incriminabile per l’uccisione di un essere umano ? Questioni, queste, che possono apparire scollate dalla realtà e lontane da ogni possibile realizzazione, ma se spostiamo l’attenzione su fatti recenti, vedremo che il problema, in qualche misura, rischia di porsi anche nella concretezza. Ricorderete il caso dell’orsa JJ4 che ha aggredito ed ucciso un uomo mentre praticava Running in Trentino. Avrete certamente notato come molti commentatori si siano lanciati in una reprimenda feroce nei confronti dell’animale che secondo alcuni, in varie declinazioni, avrebbe meritato la punizione estrema della soppressione. Non sarà sfuggito che a fronte di chi sosteneva questa tesi in ragione della pericolosità dell’animale, vi erano altri che quasi ponevano la questione in termini di pena da espiare, con funzione retributiva rispetto al danno sociale causato. E’ evidente che non può processarsi l’orsa ed applicarle una pena per aver fatto quello che l’istinto animale le ha suggerito di fare, ed a questa conclusione è agevole pervenire facendo ricorso al semplice buon senso, senza ricorrere a complessi argomenti giuridici (tra i tanti il concetto di esigibilità di una condotta conforme alla regola). Nonostante l’omicidio sia globalmente considerato immorale, il modo in cui viene trattato e regolamentato dai diversi ordinamenti giuridici varia e si diversifica anche marcatamente.
Il nostro Codice Penale conosce tre tipi di omicidio, divisi in base al coefficiente psicologico dell’autore: omicidio volontario, omicidio colposo ed omicidio preterintenzionale. L’omicidio volontario, come del resto ogni reato, si compone di due elementi, quello oggettivo (o materiale) e quello soggettivo (o psicologico). Da un punto di vista strettamente oggettivo l’omicidio consiste in quel fatto giuridico che prevede una condotta umana, un evento (mortale) ed un nesso causale tra la prima ed il secondo.
Il bene giuridico tutelato dalla norma è la vita umana, intesa sia come diritto individuale sia come interesse della collettività (e questo spiega perché non è possibile disporre liberamente della propria vita come, ad esempio, nelle ipotesi di eutanasia o di omicidio del consenziente). Rientra tra i c.d. reati di evento a forma libera, e questo sta a significare che prevede una condotta (attiva od omissiva) che causa (“cagiona” recita il codice penale) l’evento morte e che si commette questo reato qualunque sia la modalità con cui si realizzi la fattispecie. E’ irrilevante, pertanto, il modo ed i mezzi adoperati per uccidere (avvelenamento, soffocamento, arma da fuoco, arma da taglio, esplosione etc).
La volontarietà dell’omicidio, il dolo, consiste nella coscienza e volontà che sorregge la condotta dell’autore del reato abbracciando il delitto fino all’evento finale della morte. Essendo un reato che prevede un evento è certamente configurabile (e punibile) anche il semplice tentativo, rispetto al quale, molto spesso diventa assai difficile distinguere il meno grave reato di lesione personale. Si immagini l’ipotesi in cui Tizio aggredisce Caio con violenti pugni al volto fino a causarne la perdita di coscienza (ma non la morte) per poi essere arrestato dalla Polizia; in questo caso il Giudice dovrà valutare se Tizio intendesse soltanto provocare delle lesioni a Caio o se invece avesse il proposito di ucciderlo, con ovvie conseguenze sulla concreta pena da applicare.
In questi casi la Giurisprudenza è ricorsa a dei criteri legati agli aspetti “sintomatici” dell’una o dell’altra volizione. In particolare si è fatto riferimento alla violenza dei colpi inflitti, alla sede corporea attinta, alla durata dell’aggressione, etc.
A questo punto della nostra modesta riflessione non stupirà che il nostro Codice Penale consideri l’omicidio volontario tra i reati più gravi che possano commettersi con la previsione, per questo delitto, di una pena detentiva non inferiore ad anni 21 (occorre ricordare che in generale la pena della reclusione prevede una forchetta compresa tra un minimo di 15 giorni ed un massimo di 24 anni).
Ancora più severo, tuttavia, è il trattamento che il nostro Ordinamento riserva all’omicidio volontario aggravato dalla c.d. premeditazione, di cui purtroppo la legge non fornisce una definizione e, pertanto, è stata la dottrina e la giurisprudenza a delinearne i contorni ed i tratti caratteristici. Abbandonata la teoria della “fredda lucidità”, si è passati in un primo momento a definire la premeditazione come quell’intervallo (considerevole) di tempo che intercorreva dalla deliberazione di commettere l’omicidio e la sua effettiva realizzazione. Questa descrizione, tuttavia, ha ben presto mostrato la sua incompletezza tanto da venire integrata da un profilo psicologico più marcato: attualmente, perché possa parlarsi di premeditazione, la giurisprudenza e la dottrina sono concordi nel ritenere che oltre all’intervallo di tempo tra la prima determinazione a commettere il delitto e la sua successiva realizzazione debba coesistere una profonda elaborazione mentale che abbia messo seriamente a confronto la spinta criminale e la resistenza alla stessa e, ciononostante, si sia scelto di seguire la prima. In altri termini, occorre che l’autore del reato abbia fatto seriamente i conti con l’idea di commetterlo ed abbia ceduto a tale nefasto proposito. In tale prospettiva alcuni elementi indicatori di questo processo sono spesso ravvisabili nella predisposizione di un programma criminoso con cura dei dettagli e allestimento di strumenti e piani realizzatori.
L’omicidio volontario premeditato è punito dal nostro Codice Penale con la pena dell’ergastolo e non conosce l’istituto della prescrizione.

2024 © Ass. Professionale Studio Legale Carotti - P.Iva 01113260572 All Rights Reserved.

X

contenuto protetto

contenuto protetto